Affrontiamo la tematica del disturbo del comportamento alimentare (anoressia e bulimia); creando una rete di supporto per chi vive questa malattia. Soffrire di un disturbo del comportamento Alimentare non è un capriccio, uno stereotipo legato al mondo della moda, ma sono vere e proprie malattie che hanno radici profonde , disagi psicologici che influenzano in modo esponenziale la vita di chi ne soffre e le loro famiglie. Chi ne soffre si trova molto spesso a vivere in silenzio la propria malattia, isolandosi e creando di conseguenza un vuoto , una paura e sensi di colpa ancora più grandi. Le persone che soffrono di Disturbi del Comportamento Alimentare sono spesso malati invisibili agli occhi di estranei e spesso anche a quelli dei familiari, incapaci di “vedere” e capire, paralizzati dall’inadeguatezza, dalla paura e dalla vergogna, una vergogna che allontana e non consente di chiedere quel giusto aiuto che ragazzi e familiari hanno diritto di ricevere. E’ invece fondamentale il ruolo della famiglia e degli affetti più stretti nella cura e prevenzione di questa patologia. Sportelli di primo ascolto rivolti ai Famigliari/amici di chi soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare.. Per far comprendere che la persona che soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare va indirizzata a chiedere aiuto ad un Centro specializzato nei D.C.A.
Se sto male è solo colpa mia....
Prendo in prestito la definizione che il vocabolario da della parola vergogna: Sentimento di colpa o di umiliante mortificazione che si prova per un atto o un comportamento, propri o altrui, sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti.
Tra le sensazioni contrastanti che si avvicendano in chi soffre di DCA, la vergogna è sicuramente una delle più frustranti. Il passaggio dalla sensazione di avere il potere assoluto, di onnipotenza alla mortificazione più totale è repentino. Dal punto più alto all'abisso più profondo. Sembra piuttosto chiaro anche dalla definizione, che questa sensazione si lega indissolubilmente al senso di colpa e, io aggiungerei in questo caso, anche allo stigma e al pregiudizio che li affiancano ancora troppo spesso. Come si può spiegare a chi hai di fronte, a chi ti sta vicino che ci si sente impotenti nei confronti di se stessi? E di conseguenza, come puoi non autoconvincerti che hai scelto tu la strada verso l'autodistruzione? Pazza o bambina capricciosa? Interrogativi che ti forano le tempie, senza che esca alcuna goccia di sangue.Mi sono vergognata della mia impotenza, del mio dolore senza peso, di tutte le volte che mi sono chiusa in bagno in ginocchio davanti al water con la consapevolezza che in un'altra stanza c'era mia madre che sapeva cosa stava accadendo e che per paura della mia reazione stava in silenzio, di non essere in grado di fermarmi, di essere semplicemente una debole o fragile, di sputare sulla mia vita, di non apprezzare quel 'tutto' che secondo tanti avevo, di non riuscire a liberarmi dalla mia ossessione per il cibo. Quando sono stata in grado di sentire il giusto rispetto verso il mio dolore che allora, ne io ne alcune persone intorno a me sono state in grado di avere, qualcosa è cambiato.
Aver accettato la mia condizione di allora, mi ha liberato da quel dito puntato contro che era della mia stessa mano. Il pensiero che il mio disagio fosse reale e che in quanto tale necessitasse di cure appropriate, ha rotto il primo anello della catena che mi legava da troppo tempo a qualcosa che, dentro di me, chiedevo di non essere più.
Rosy Coletta.
https://www.facebook.com/dcalamiasostanzaimperfetta/
COMMENTI