Affrontiamo la tematica del disturbo del comportamento alimentare (anoressia e bulimia); creando una rete di supporto per chi vive questa malattia. Soffrire di un disturbo del comportamento Alimentare non è un capriccio, uno stereotipo legato al mondo della moda, ma sono vere e proprie malattie che hanno radici profonde , disagi psicologici che influenzano in modo esponenziale la vita di chi ne soffre e le loro famiglie. Chi ne soffre si trova molto spesso a vivere in silenzio la propria malattia, isolandosi e creando di conseguenza un vuoto , una paura e sensi di colpa ancora più grandi. Le persone che soffrono di Disturbi del Comportamento Alimentare sono spesso malati invisibili agli occhi di estranei e spesso anche a quelli dei familiari, incapaci di “vedere” e capire, paralizzati dall’inadeguatezza, dalla paura e dalla vergogna, una vergogna che allontana e non consente di chiedere quel giusto aiuto che ragazzi e familiari hanno diritto di ricevere. E’ invece fondamentale il ruolo della famiglia e degli affetti più stretti nella cura e prevenzione di questa patologia. Sportelli di primo ascolto rivolti ai Famigliari/amici di chi soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare.. Per far comprendere che la persona che soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare va indirizzata a chiedere aiuto ad un Centro specializzato nei D.C.A.
Sembrava.
Sembrava una ragazza solitaria, forse, a volte, un po’ scontrosa, chiusa in quel cappotto come se volesse tenere tutti fuori, lontani dalla sua vita e dai suoi pensieri.
Sembrava a volte anche triste, cupa, non certo una ragazza solare con cui si avrebbe voglia di trascorrere del tempo. Alcuni giorni appariva come una ragazza altezzosa, di quelle che non vogliono condividere con gli altri momenti di vita quotidiana, come se il mondo attorno a lei fosse troppo lontano dai suoi standard, dalle sue aspettative.C’erano poi giorni in cui sembrava arrabbiata, come se ce l’avesse con tutto il mondo, come se avesse subito un torto, un torto che però agli altri non era chiaro.
C’era qualcosa in lei che non si riusciva a decifrare, un silenzio che, paradossalmente, sembrava volersi far sentire. Quando però qualcuno cercava di ascoltarla, di parlare con lei, lei si allontanava, chiudendosi ancor più in quel cappotto che era diventato quasi un guscio, una protezione verso i pericoli della vita.
Solo che chi le era vicino non riusciva a capire, non poteva capire. Come avrebbero potuto farlo? Come avrebbero potuto capire che quei silenzi, quegli sbalzi di umore, quell’allontanamento erano frutto di un grande dolore con cui lei, la ragazza, doveva vivere quotidianamente?
Come avrebbero potuto capire, intuire, che quello che lei avrebbe voluto era poter stare meno male, soffrire un po’ di meno, in una vita vissuta dipendendo dagli ordini che le erano impartiti da una malattia?
Come avrebbero potuto anche solo immaginare che lei, quella ragazza apparentemente solitaria e a volte difficile, tanto avrebbe voluto poter uscire con loro, poter sorridere, divertirsi, come tutti gli altri?
Già, come avrebbero potuto sapere tutto questo senza sentire la sua voce, spenta per paura di non essere compresa, per paura di essere giudicata?
E’ difficile capire una persona senza poterci parlare, come è difficile intuire quello che una persona prova solo guardando i suoi occhi.
E’ però anche difficile confidarsi se si ha paura di quello che si potrebbe avere come riscontro, come è difficile aprirsi su qualcosa di così personale come può essere una malattia.
Si, tutto questo è davvero difficile, per entrambe le parti. Però trovare un punto di unione, di contatto tra chi soffre e chi è al suo fianco non è impossibile. Serve la volontà di farlo, di chiedere e dare, di parlare e ascoltare, di rischiare e non giudicare … di accettare … si, accettare che non sempre le cose sono come sembrano, come appaiono ai nostri occhi, e così chi può sembrare solitario, schivo, difficile, può non esserlo realmente, come chi può sembrare non capace di comprendere può invece essere capace di capire gli altri, il loro dolore, come può essere capace di donare quell’abbraccio in cui potersi rifugiare per un po’, per poi poter fare un pezzetto di strada assieme, in un giorno in cui sentirsi un po’ meno soli, un po’ meno isolati, un po’ più compresi …
Daniela Bonaldi.
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